Focus

Tutti gli italiani si diedero alla "Macchia"

On 22 Ottobre 2018

 di Cristina Acidini, da Il Sole 24 Ore, 21 ottobre 2018

 

I quadri dei giovani pittori insofferenti e scapestrati, che a partire dalla metà dell'Ottocento presero a riunirsi a Firenze, nel centralissimo Caffè Michelangiolo, dopo un secolo e mezzo non hanno perso nulla della loro attrattiva. E nel proporne al pubblico della Galleria d'Arte Moderna di Torino questa ricca e meditata selezione, una volta di più si percepisce la potenza della loro visione artistica, non solo innovativa, ma capace di interpretare la domanda di cambiamento e di corrispondervi portando l'arte verso una "modernità", che apriva la strada all'avanzare tumultuoso dei movimenti novecenteschi.

Telemaco Signorini, Vincenzo Cabianca, Silvestro Lega, Giuseppe Abbati, Raffaello Sernesi, Giovanni Fattori, sostenuti da Diego Martelli quale critico e teorico, col loro sodalizio formarono in effetti il primo di quei movimenti, fondato su una poetica consapevole e su precise scelte, la cui solida base era l'avversione comune a tutti per l'insegnamento ricevuto dai pur eccellenti maestri dell'Accademia di Belle Arti, che si percepiva come lontano dal vero naturale. L'arte accademica era incapace di interpretare la domanda d'arte della società, che veniva non più tanto dall'aristocrazia e dal clero, quanto soprattutto dalla borghesia in ascesa.

Negli anni delle guerre d'indipendenza, il clima politico moderato del Granducato lorenese e le bellezze del luogo attirarono a Firenze giovani artisti da vari stati italiani, così da favorire un confronto d'esperienze, sul quale s'innestavano i racconti delle innovazioni in corso in Francia.

Il rinnovamento propugnato dai giovani cosiddetti "nuovi" o "effettisti" (che poi nel 1862 fecero proprio con fierezza l'epiteto dispregiativo di "macchiaioli") investì contemporaneamente gli ambiti principali della pittura: l'iconografia e lo stile, il contenuto e la forma. La scelta di abbandonare i soggetti storici e mitologici per accostarsi alla quotidianità umile e sobria delle periferie, delle campagne, dei litorali, andò di pari passo con la messa a punto di un modo di dipingere anch'esso nuovo, dove il colore era steso appunto a "macchie" forti e decise, accostate a formare vividi impianti chiaroscurali. Non che il disegno - fondamento delle arti, nella visione toscana di matrice rinascimentale - fosse abbandonato : ma restava implicito, quasi inghiottito dall'energica avanzata del colore.

Rivoluzioni paragonabili s'erano viste di rado nella pittura occidentale. Soli pochi sommi come Caravaggio, Rembrandt, Goya, avevano saputo rinnovare i concetti di pittura e, al tempo stesso, il linguaggio che li esprimeva.

Nella mostra di Torino, questa fase fondante del movimento si manifesta attraverso quadri di altissima qualità e importanza. Solo per attenersi alla data fatidica del 1859 (anno in cui il Granduca lorenese lascia la Toscana e gli subentra un "governo provvisorio") s'incontrano in mostra tre quadri straordinari, in cui la pittura di "macchia" trasmette le forti emozioni di un momento storico d'eccezione. Di Francesco Altamura, pugliese, è La prima bandiera italiana portata in Firenze, con l'episodio patriottico entro la veduta assolata e deserta della sublime collina di San Miniato al Monte. Giovanni Fattori registra alle Cascine la presenza dei Soldati francesi del '59, ricondotti ai folgoranti contrapposti cromatici tra le divise blu e gli zaini rossi, a strisce verticali bianche sul fondo neutro del muro. E Il 26 aprile 1859 di Odoardo Borrani, con una ragazza che cuce la bandiera, racchiude in una mirabile sintesi gli elementi identitari del movimento: lo spirito patriottico, l'ambientazione fiorentina in un interno spoglio, il contrasto chiaroscurale fra la stanza ombrosa e il tetto assolato al di là della stretta via, i riflessi versi e rossi del tricolore sul vetro della finestra e sul volto della cucitrice.

Nel giro di pochi anni Firenze, la Toscana, l'Italia conobbero trasformazioni epocali: l'unificazione nel 1861, lo spostamento della capitale da Torino a Firenze nel 1865. i macchiaioli si lasciavano alle spalle lo slancio dei primi anni, ognuno cercando una propria strada artistica e spesso allontanandosi, solo nei borghi e nelle campagne - a Piagentina, a Castiglioncello - potevano ritrovare quel vero e quell'onesto, che si venivano perdendo nelle città che mutava aspetto e vita.

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