Pagliano Eleuterio *
Casale Monferrato (Alessandria) 1826 - Milano 1903
Entrato giovanissimo all’Accademia di Brera a Milano, studiò sotto la guida di G. Sogni e strinse una duratura amicizia con G. Bertini. Nel 1848 fu distolto dagli impegni scolastici per l'adesione agli ideali unitari e partecipò alle campagne della I guerra d'Indipendenza, al seguito di L. Manara e G. Garibaldi. Da allora dedicò eguale impegno all’attività artistica e a quella di combattente. Fatto ritorno a Milano alla fine del 1850, nel 1851 presentò a Brera un dipinto di tema devozionale, commissionatogli dal re di Sardegna. Negli anni successivi partecipò alle mostre con opere d’ispirazione storica e letteraria (1857, L'origine della Compagnia della Misericordia in Firenze (Milano, Museo Poldi Pezzoli) e inviò al Salon di Parigi del 1855 un Ritratto della marchesa Villani. Fu continua, anche se di minore rilevanza, la sua produzione di quadri di genere e con personaggi in costume (Figura in costume settecentesco, Milano, Quadreria dell'Ospedale Maggiore). Nel 1859 entrò fra i Cacciatori delle Alpi di Garibaldi e dagli avvenimenti bellici trasse ispirazione per numerosi dipinti (La compagnia Bronzetti a Seriate, esposto a Milano nel 1860; La presa del cimitero di Solferino, 1867, Milano, Pinacoteca di Brera). In Lo sbarco a Sesto Calende (1865, Varese, Musei Civici) descrisse con linguaggio piano la corale e vigorosa partecipazione agli eventi del Risorgimento. Di grande importanza in quegli anni fu il contatto con D. Morelli e con l'ambiente toscano, che lo indirizzarono a una forma più libera, maturata con lo studio del vero, e della quale si colgono i riflessi anche nella produzione di carattere storico-romantico (La vendetta degli Amidei, 1861, Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna). Negli anni '70 la sua attività si arricchì di committenze diverse e l’artista ottenne numerosi riconoscimenti alle esposizioni, fra cui il premio Principe Umberto per La figlia di Silvestro Aldobrandini che rifiuta di ballare con Maramaldo, esposto a Brera nel 1872. Con La morte di Luciano Manara del 1884 (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna) recuperò, a più di trent’anni di distanza, il ricordo della drammatica esperienza giovanile, fornendo all’episodio una vena intimista tradotta in forme di crudo verismo. Accettò anche commissioni per decorazioni (velette della galleria Vittorio Emanuele II di Milano) e si interessò alle tecniche incisorie.