Mancini Antonio *
Roma 1852 - 1930
Trasferitosi nel 1865 a Napoli, si iscrisse all’Accademia come allievo di R. Postiglione, F. Maldarelli e D. Morelli. Le precoci abilità gli permisero di mettersi subito in evidenza attraverso i saggi accademici (Testa di bambina, 1867, Napoli, Museo di Capodimonte; Il prevetariello, 1870, Napoli, Museo di San Martino) e il grande disegno Vestire gli ignudi (1871, Napoli, Accademia di Belle Arti). Parallelamente si avvicinò allo scultore S. Lista, di cui seguì le lezioni riprendendone gli indirizzi veristi, e si legò a V. Gemito, con cui condivise lo studio, gli interessi artistici e le difficoltà degli esordi. La prima produzione si distinse per l’at-tenzione prestata alla realtà dei vicoli di Napoli, da cui derivò la lunga galleria di “scugnizzi” ritratti nei più diversi ambienti e atteggiamenti. Dalla tradizione del Seicento napoletano assunse la pennellata sciolta e pastosa, il tocco fluido e sicuro vivificati da un’intuitiva capacità di dosare luci e ombre. Nel 1870 esordì con Mio Padre alla Promotrice partenopea, dove continuò a esporre fino all'inizio del Novecento. Il successo ottenuto da Ultimo sonno e Fanciullo che va alla scuola, inviati al Salon di Parigi del 1872, lo fece entrare nel novero degli artisti di A. Goupil, mentre l’anno successivo si avvicinò al pittore olandese H. W. Mesdag, che diventerà suo costante sostenitore. Grazie a un altro dei suoi mecenati, il musicista A. Cahen, nel 1872 poté compiere un viaggio di studio a Venezia, che lo indusse ad arricchire la qualità del colore (1872, Dopo il duello, Torino, Galleria Civica d'Arte Moderna). Sempre a Napoli, nel 1875, presentò Poca carta e poco pane, Un servo ed una povera e Ama il prossimo tuo come te stesso, conosciuto anche come Lo scugnizzo (1868, coll. privata), opere che suscitarono l'ammirazione della critica, ma anche riserve per la monotonia tematica. Dopo i soggiorni parigini del 1875 e del 1877-1878, l'artista avviò un lento ma costante mutamento tecnico: la pennellata si fece più agile e nervosa, la tavolozza conquistò finissime gradazioni coloristiche (Ragazzo malato, Napoli, Museo di Capodimonte), mentre gli impasti si fecero più spessi e carichi di materia. L'ansia di ricerca lo porterà in seguito ad audaci sperimentazioni, come l’inserimento di stagnola, madreperla o vetro nella pittura per ottenere più complessi effetti luministici, o l’utilizzo delle quadrettature di spaghi (le cosiddette “graticole”), ben riconoscibili in molte tele. Tornato in Italia, deluso dal mancato successo all’estero, nel 1881 cadde in una grave crisi nervosa. Nel 1883 si stabilì defi-nitivamente a Roma e dall’anno seguente espose alle mostre degli Amatori e Cultori (1886, Per una nuova cantina; Mascherata, Ritratto) e dal 1895 alla Biennale di Venezia. Nei due viaggi a Londra del 1901 e del 1907, compiuti grazie all’amico pittore J. S. Sargent, si affermò come ritratti-sta. Negli ultimi anni accompa-gnò ai ritratti, caratterizzati da un recuperato controllo formale (Autoritratto, Firenze, Uffizi), la produzione di soggetti in costume settecentesco commissionatigli dall’antiquario tedesco O. Messinger (1908-1911) e in seguito dal francese F. Du Chêne de Vére, nella cui villa a Frascati visse dal 1912 al 1918.