De Vivo Tommaso *
Orta di Atella (Caserta) 1790 - Napoli 1884
Figlio di un possidente filoborbonico che fu imprigionato dai francesi, il giovane De Vivo frequentò l’Accademia di Belle Arti di Napoli e si esercitò nelle copie dall’antico. Nel 1821 si trasferì a Roma per perfezionarsi con V. Camuccini. Dalla formazione neoclassica (Il soccorso all'indigenza, 1830, Caserta, Palaz-zo Reale; Ritratto di signora, 1833, Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna) si orientò nel tempo verso la ripresa di modelli classicisti tardosecenteschi (La morte di Sant'Andrea Avellino, 1836, Napoli, chiesa di San Francesco di Paola). Attivo sia a Roma sia a Napoli, espose con regolarità alle biennali borboniche fin dal 1826. Nella copiosa produzione degli anni '40, accanto a cicli allegorici per le regge di Caserta e di Napoli, comparvero quadri di soggetto biblico (Storie di Giuditta, 1843-1845, Napoli, Palazzo Reale), mitologico (Prometeo,1845,Caserta, Reggia), sacro e storico-celebrativo (La zingara Picenate predice a Sisto V l'ascesa al pontificato, 1845, Caserta, Palazzo Reale), dove il tema era interpretato in chiave aneddotica e con accenti di scena di genere. Il medesimo gusto troubadour si ritrova in altre opere come Lo studio di Salvator Rosa e Lo Zingaretto alla presenza della Regina Giovanna (1849, Napoli, Palazzo Reale). Rientrato a Napoli nel 1847, fu ispettore delle Pinacoteche Reali e professore all’Accademia di Belle Arti. Fra il 1852 e il 1853 prese parte alla decorazione del restaurato tempio di San Domenico Maggiore. Nello stesso anno realizzava le due tele con soggetti palizziani Due zampognari e un capretto e Asino cavalcato da due contadini. Attivo fin oltre il 1870, adeguò le tematiche allegoriche ai mutamenti della sua epoca (L'Italia e i suoi Geni, donato al senato italiano).