Della Monica Gennaro *
DELLA MONICA GENNARO
Teramo 1836 - 1917
Allievo del padre Pasquale, pittore neoclassico, si iscrisse intorno alla metà del secolo all’Accademia di Napoli. Qui nel 1855 fu premiato per il Corradino reduce dalla sconfitta di Tagliacozzo. Artista e polemista singolare, grazie a una serie di viaggi in Italia in compagnia del nobile ungherese S. Teleki, entrò in contatto con numerosi pittori, tra cui M. De Gregorio, S. Altamura, F. Faruffini, T. Signorini. Tra il 1860 e il 1867 soggiornò a Firenze, dove assimilò i principi del Realismo toscano e parallelamente si impose con dipinti di tema letterario, come l'Ebreo errante. Negli anni, la sua attività si divise fra i piccoli quadri di battaglie, a imitazione dei maestri del Seicento, e gli studi dal vero, sorprendenti per la modernità del linguaggio verista adottato (Paesaggio con campo di grano, coll. privata). Apprezzato per i soggetti di storia antica (Ferruccio a Gavinana, esposto alla Promotrice partenopea del 1863; Bruto condanna a morte i propri figli, Teramo, ex Tribunale) e contemporanea (Stato maggiore ungherese con Garibaldi a Santa Maria di Capua, esposto a Firenze nel 1865), si misurò anche con la pittura sacra (Mosè abbandonato sulle acque del Nilo, Teramo, coll. Banco di Napoli). Ritornato nella città natale, lavorò per le chiese locali (Apparizione di Cristo, Teramo, chiesa di S. Agostino) e diede seguito alla sua poliedrica produzione pittorica (Salvator Rosa fra i briganti abruzzesi e Una fiera sotto il Gran Sasso d'Italia, etrambi esposti a Firenze nel 1879; Campagna e tipi abruzzesi, inviato a Genova nel 1885).
Teramo 1836 - 1917
Allievo del padre Pasquale, pittore neoclassico, si iscrisse intorno alla metà del secolo all’Accademia di Napoli. Qui nel 1855 fu premiato per il Corradino reduce dalla sconfitta di Tagliacozzo. Artista e polemista singolare, grazie a una serie di viaggi in Italia in compagnia del nobile ungherese S. Teleki, entrò in contatto con numerosi pittori, tra cui M. De Gregorio, S. Altamura, F. Faruffini, T. Signorini. Tra il 1860 e il 1867 soggiornò a Firenze, dove assimilò i principi del Realismo toscano e parallelamente si impose con dipinti di tema letterario, come l'Ebreo errante. Negli anni, la sua attività si divise fra i piccoli quadri di battaglie, a imitazione dei maestri del Seicento, e gli studi dal vero, sorprendenti per la modernità del linguaggio verista adottato (Paesaggio con campo di grano, coll. privata). Apprezzato per i soggetti di storia antica (Ferruccio a Gavinana, esposto alla Promotrice partenopea del 1863; Bruto condanna a morte i propri figli, Teramo, ex Tribunale) e contemporanea (Stato maggiore ungherese con Garibaldi a Santa Maria di Capua, esposto a Firenze nel 1865), si misurò anche con la pittura sacra (Mosè abbandonato sulle acque del Nilo, Teramo, coll. Banco di Napoli). Ritornato nella città natale, lavorò per le chiese locali (Apparizione di Cristo, Teramo, chiesa di S. Agostino) e diede seguito alla sua poliedrica produzione pittorica (Salvator Rosa fra i briganti abruzzesi e Una fiera sotto il Gran Sasso d'Italia, etrambi esposti a Firenze nel 1879; Campagna e tipi abruzzesi, inviato a Genova nel 1885).