Pellizza da Volpedo Giuseppe *
Volpedo (Alessandria) 1868 - 1907
Nacque da una famiglia di agiati agricoltori, dalla quale trasse quel senso di appartenenza alla terra che, sostanziato da ragioni sentimentali e sociali, alimenterà costantemente la sua attività creativa. Fra il 1884 e il 1887 frequentò a Milano l’Accademia di Brera e qui esordì alla Mostra del 1885. Gli echi della Scapi-gliatura milanese e di D. Ranzoni in particolare appaiono pienamente recepiti nei primi ritratti, intrecciati a suggestioni di diversa natura e provenienza. Nel 1888, dopo un breve soggiorno a Roma e a Napoli, si trasferì per qualche tempo all'Accademia di Firenze, dove fu allievo di G. Fattori e condiscepolo di P. No-mellini; successivamente passò all’Accademia Carrara di Bergamo, frequentando i corsi di C. Tallone. Le nuove esperienze concorsero a orientarlo verso una pittura di maggior impegno realistico, dai solidi impianti e dalle ampie stesure cromatiche, di cui è testimonianza Ricordo di un dolore, del 1889 (Bergamo, Accademia Carrara). Lo stesso anno visitò l'Esposizione Universale di Parigi, guardando a B. Lepage e confermandosi nella attrazione per i temi rurali, nutriti di sentimenti romantici e di un’appassionata adesione alla vita dei campi. Fissata la sua residenza definitiva a Volpedo, si dedicò anche al ritratto e allo studio del paesaggio lombardo, con particolare attenzione alle ricerche di luce e colore che schiarirono sensibilmente la sua tavolozza. Ne nacquero opere come Mammine (coll. privata), che gli valse un premio all’Esposizione Colombiana di Genova del 1892. Quell’anno sposò una giovane donna di Volpedo, che sarà sua compagna e ispiratrice degli anni a venire. Rinsaldava frattanto il rapporto con Nomellini, dal quale ebbe autorevole conforto nella scelta della tecnica divisionista e che divenne il suo interlocutore d'elezione per idealità artistiche, sociali e politiche. La familiarità con la letteratura di taglio filantropico e con i testi marxisti maturò nell’artista quel concetto di arte come veicolo di emancipazione del popolo che lo porterà a coniugare sempre più spesso l'uso della pennellata divisa con la scelta dei temi umanitari. Già pienamente informati da questa tecnica erano Sul fienile e Speranze deluse, esposti alla Triennale milanese del 1894; altri quadri dipinse negli anni subito successivi (La processione, 1895-1898, Milano, Museo della Scienza e della Tecnica; Lo specchio della vita, 1895-1898, esposto a Torino nel 1898; Il morticino, 1896-1905, Parigi, Musée d’Orsay), mostrando d’inclinare verso atmosfere mistiche e contemplative di forte assonanza simbolista. La sua interpretazione del Divisionismo fu sorretta da un metodo di lavoro che lo portò a misurarsi più volte con uno stesso soggetto, come in II cammino dei lavoratori, altrimenti noto come Quarto Stato (Milano, Galleria d’Arte Moderna), la grande tela a cui attese per oltre un decennio a partire dal 1890, passando per tre redazioni e ricorrendo a moltissimi studi preparatori. Nel 1902 riprese l'attività espositiva, inviando alle mostre paesaggi ispirati ai dintorni di Volpedo; a questi alternò opere del più puro Divisionismo, come II sole (1904, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna). Dopo la morte improvvisa della moglie e dell’ultimogenito cadde in uno stato di grave depressione che lo condusse al suicidio.