Cammarano Michele *
CAMMARANO MICHELE
Napoli 1835 - 1920
Cresciuto in una famiglia di artisti, ebbe dal padre Salvatore il primo avvio alla pittura e fu per breve tempo alla scuola di scenografia di P. Venier, tramite il quale poté conoscere la pittura romantica francese. Dal 1853 entrò all’Accademia di Belle Arti di Napoli dove seguì i corsi di G. Smargiassi e G. Mancinelli. Pur attratto dallo studio della pittura napoletana del Seicento e dall’opera di F. Palizzi, nei saggi di quegli anni (I crociati, esposto nel 1855; Anacoreta nella spelonca, esposto nel 1859) non si allontanò dalle indicazioni dello Smargiassi. Passato nel 1860 alla scuola privata di F. Palizzi, con il quale avrà sempre un rapporto intenso e contrastato, cercò nuovi spunti di aggiornamento con un soggiorno a Firenze; qui prese contatto con alcuni artisti toscani e all’Esposizione Nazionale del 1861 (Due martiri della Patria) fu colpito dalla pittura di N. Costa, di V. Cabianca, di G. Induno. Nelle opere che seguirono (L'episodio del terremoto di Torre del Greco nel 1862, 1862, Le stragi di Altamura, bozzetto, 1863, entrambi a Napoli, Museo di San Martino; Ozio e lavoro, 1863, Napoli, Museo di Capodimonte), cercò di inserire nel pacato naturalismo palizziano l'attenta documentazione del reale. Allontanatosi dal maestro si trasferì nel 1865 a Roma dove frequentò l’ambiente internazionale, ebbe scambi con C. Fracassini e A. A. Hebert ed eseguì, oltre agli studi nella campagna romana, dipinti di accentuato realismo, sottolineato dall’incupirsi dei colori e dai forti contrasti luministici (La carità romana; Le risorse della povera gente, esposto a Venezia nel 1867; L’incoraggiamento al vizio, Il ghetto, 1869, coll. privata). Durante i successivi soggiorni veneziani realizzò diversi paesaggi e, fra il 1869 e il 1870, la celebrata Piazza San Marco (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), l’opera che meglio sintetizza le ricerche sulla luce e l’attenzione al reale di quegli anni. Nel 1870 compì il tanto desiderato viaggio a Parigi per conoscere G. Courbet e guardò anche alle opere di D. Ingres e E. Delacroix.Tornò a Roma nello stesso anno e nel 1871 dipinse La carica dei bersaglieri alle mura di Roma (Napoli, Museo di Capodimonte) e, con T. Patini, le grandi tempere di tema risorgimentale per l’ingresso di Vittorio Emanuele a Roma. Seguitò anche a dipingere in campagna, a Cervara, a Subiaco, nel pistoiese, togliendo i soggetti dalle strade e dalle case di paese (Un covo di briganti, esposto a Napoli nel 1877, Oxford, Museo; I lavoratori della terra, 1885, coll. privata; La partita a briscola, 1887, Napoli, Galleria dell’Accademia). Frattanto lavorava alla grande tela del 24 giugno a San Martino (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna). Fra il 1888 e il 1893 risiedette lungamente a Massaua dove eseguì un gran numero di studi per La Battaglia di Dogali (1896, studi e dipinto a Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna). Nel 1900 fu chiamato alla cattedra di paesaggio e poi a quella di pittura presso l’Accademia napoletana.
Napoli 1835 - 1920
Cresciuto in una famiglia di artisti, ebbe dal padre Salvatore il primo avvio alla pittura e fu per breve tempo alla scuola di scenografia di P. Venier, tramite il quale poté conoscere la pittura romantica francese. Dal 1853 entrò all’Accademia di Belle Arti di Napoli dove seguì i corsi di G. Smargiassi e G. Mancinelli. Pur attratto dallo studio della pittura napoletana del Seicento e dall’opera di F. Palizzi, nei saggi di quegli anni (I crociati, esposto nel 1855; Anacoreta nella spelonca, esposto nel 1859) non si allontanò dalle indicazioni dello Smargiassi. Passato nel 1860 alla scuola privata di F. Palizzi, con il quale avrà sempre un rapporto intenso e contrastato, cercò nuovi spunti di aggiornamento con un soggiorno a Firenze; qui prese contatto con alcuni artisti toscani e all’Esposizione Nazionale del 1861 (Due martiri della Patria) fu colpito dalla pittura di N. Costa, di V. Cabianca, di G. Induno. Nelle opere che seguirono (L'episodio del terremoto di Torre del Greco nel 1862, 1862, Le stragi di Altamura, bozzetto, 1863, entrambi a Napoli, Museo di San Martino; Ozio e lavoro, 1863, Napoli, Museo di Capodimonte), cercò di inserire nel pacato naturalismo palizziano l'attenta documentazione del reale. Allontanatosi dal maestro si trasferì nel 1865 a Roma dove frequentò l’ambiente internazionale, ebbe scambi con C. Fracassini e A. A. Hebert ed eseguì, oltre agli studi nella campagna romana, dipinti di accentuato realismo, sottolineato dall’incupirsi dei colori e dai forti contrasti luministici (La carità romana; Le risorse della povera gente, esposto a Venezia nel 1867; L’incoraggiamento al vizio, Il ghetto, 1869, coll. privata). Durante i successivi soggiorni veneziani realizzò diversi paesaggi e, fra il 1869 e il 1870, la celebrata Piazza San Marco (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), l’opera che meglio sintetizza le ricerche sulla luce e l’attenzione al reale di quegli anni. Nel 1870 compì il tanto desiderato viaggio a Parigi per conoscere G. Courbet e guardò anche alle opere di D. Ingres e E. Delacroix.Tornò a Roma nello stesso anno e nel 1871 dipinse La carica dei bersaglieri alle mura di Roma (Napoli, Museo di Capodimonte) e, con T. Patini, le grandi tempere di tema risorgimentale per l’ingresso di Vittorio Emanuele a Roma. Seguitò anche a dipingere in campagna, a Cervara, a Subiaco, nel pistoiese, togliendo i soggetti dalle strade e dalle case di paese (Un covo di briganti, esposto a Napoli nel 1877, Oxford, Museo; I lavoratori della terra, 1885, coll. privata; La partita a briscola, 1887, Napoli, Galleria dell’Accademia). Frattanto lavorava alla grande tela del 24 giugno a San Martino (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna). Fra il 1888 e il 1893 risiedette lungamente a Massaua dove eseguì un gran numero di studi per La Battaglia di Dogali (1896, studi e dipinto a Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna). Nel 1900 fu chiamato alla cattedra di paesaggio e poi a quella di pittura presso l’Accademia napoletana.