Vagando per la Toscana alla ricerca di un ciclo di pitture murali dipinte a tempera dal ferrarese Giovanni Boldini in una città che comincia per “P”, Emilia Cardona Boldini, giovane vedova e prima biografa dell’artista, lo trova a Pistoia, nella rimessa di attrezzi agricoli di una villa che un tempo era stata la sala da pranzo di Isabella Falconer, mecenate del talentuoso giovane. Emilia acquista così nel 938 Villa Falconiera e vi trasferisce da Parigi le cose appartenute al marito (scomparso nel 1931), il quale, come è noto, nella capitale francese era diventato uno dei più richiesti ritrattisti della Belle Ėpoque. Intorno a quel ciclo, poi distaccato e ora custodito nel Museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi, ruota la mostra, allestita in quella stessa sede dal 9 settembre al 6 gennaio. “Giovanni Boldini. La stagione della Falconiera”, a cura di Francesca Dini con la collaborazione di Andrea Baldinotti e Vincenzo Farinella. Inserita nell’ambito di Pistoia Capitale Italiana della Cultura, la mostra indaga la stagione toscana dell’artista (1864-71), il suo rapporto e l’influenza che egli esercitò sul gruppo dei pittori macchiaioli, già intenti a sperimentare una pittura svincolata dagli oramai usurati canoni accademici. Come mostrano i ritratti di “Cristiano Banti” (1866) e di “Telemaco Signorini” (1870), Boldini a Firenze non ambienta i personaggi su sfondi neutri o con pochi elementi ma in stanze colme di oggetti, e matura quel tocco veloce, sprezzante , con una disinvoltura nelle pose e nelle scelte cromatiche che si nota nel “Giovane paggio che gioca con un levriero” del 1869 o nel “Ritratto di Alaide Banti”del 1866 che si ritrova nello stile delle pitture della Falconiera Uno stile al quale rimanda la “Marina” del 1870,trasposizione di una scena del ciclo murale della Falconiera, mentre il “Ritratto del generale spagnolo” dipinto tra il 1867 e il 1868 nel corso di un soggiorno sulla Costa Azzurra con la sua mecenate, Isabella Falconer, già prefigura la brillante carriera degli anni parigini.