"L'impressionismo di Zandomeneghi" è il nuovo appuntamento, nell'ambito della pluriennale rivisitazione dell'800, promossa dalla Fondazione Bano a Palazzo Zabarella. dal 1 ottobre al 29 gennaio, a cura di Francesca Dini e Fernando Mazzocca, riunisce un centinaio di opere, molte di proprietà privata. Titolo più che corretto, considerato il fatto che Federico Zandomeneghi aderì con convinzione a questo movimento, partecipando anche più volte alle loro esposizioni. Eppure è anche un titolo limitativo, come precisa Francesca Dini: "Il nostro obiettivo, e questo rappresenta una novità, è di ricostruire l'intero percorso dell'artista, dagli esordi veneziani all'esperienza dei macchiaioli". Nato a Venezia nel 1841, era figlio d'arte: il nonno e il padre, scultori, erano convinti assertori dell'estetica di Antonio Canovache, peraltro, frequentava la loro casa. Il primo atto trasgressivo di zandomeneghi fu quello di optare per la pitture, mantenendo però, della tradizione familiare, il culto del disegno, che è un modo, a parere della Dini, di "essere a contatto con i temi della vita contemporanea". Un'abilità, questa che lo assimila a Degas. Non ancora ventenne Zandomeneghi si trova esiliato per motivi politici a Firenze, dove entra in contatto con i macchiaioli, in particolare con Beppe Abbati e Diego Martelli, che lo sostiene in tutto il suo percorso artistico e che è ritratto in uno dei capolavori di zandomeneghi esposti in mostra. Da questa prima esperienza il pittore mutua l'impegno sociale, anche se è andata dispersa l'icona simbolo degli "spazzaturai" e l'abilità nel ritratto, specie femminile. Ritornato a Venezia trova un clima artistico in piena evoluzione con Favretto e Nono nuovi protagonisti. In questa nuova atmosfera ha modo di completare il suo apprendistato: nascono opere mature come "I preparativi per la processione"e "La Spesa", ritratto di popolana con cesto di ortaggi. Incompiuta, invece, "La pittrice" (1873), un'opera di transizione. Non a caso nel giugno del 1874, Zandomeneghi parte per Parigi. "Aveva 35 anni, era un uomo e un artista maturo, commenta la Dini. Aderisce all'Impressionismo pur conservando la sua identità veneziana, specie per quanto riguarda l'uso del colore".Gli inizi difficili, che lo costringono a fare il figurinista, non gli impediscono di entrare in contatto con i maestri dell'epoca, in un reciproco scambio di esperienze. Il periodo d'oro è quello degli anni '80 dell'Ottocento. Protagonisti il paesaggio, che risente dell'esperienza bretone di Gauguin e del sodalizio con Guillaumin, e le scene di vita urbana, come "Place d'Anvers" e l'ancora più celebre "Al caffè Nouvelle Athènes" (1886), cui è accostato il bozzetto preparatorio. Infine i ritratti caratterizzati, oltre che dalla perizia tecnicadi anticac tradizione veneziana, da un'empatia umana che accomuna il bimbo nudo all'autorevole medico di famiglia, la sorella in veste di cuoca alle signorine galanti all'ora della conversazione del tè. Da ultimo l'apoteosi: il contratto, nel 1895, con il gallerista Durand-Ruel che gli chiede, ammicca maliziosa la Dini, "di fare qualche ritoccoai quadri di Degas e Renoir".