Turner, che critico abile è il regista

On 13 February 2015

di Vincenzo Trione, da Il Corriere della Sera, 8 febbraio 2015

 

 


Quando il cinema incontra la pittura, si determinano collisioni, attriti. Anche se alcune differenze permangono: "La pittura - ha ricordato Maurizio Calvesi - materialmente fissa, ma otticamente mobile, si traduce in qualcosa che è materialmente mobile ma otticamente fisso". Eppure, talvolta, tra questi due linguaggi si generano felici scambi, fecondi passaggi.

Si rifletta su Turner di Mike Leigh. appena arrivato nelle sale italiane. All'apparenza, si tratta di un classico biopic : ovvero un biographical picture. In effetti, il regista inglese ha agito come un amabile storico dell'arte, che si è sottratto a una lettura agiografica del suo eroe maledetto, per propora una biografia segnata da scelte interpretative  originali. In fondo, il suo è un esercizio di critica d'arte  condotto sul grande schermo.  Innanzitutto, egli ha rimodulato la fisicità di turner, il quale, in un celebre autoritratto, ci appare magro, composto, in posa borghese: nel film, invece,  ci imbattiamo in un personaggio grasso, aggressivo, volgare, scontroso, inelegante. Inoltre, Leigh si è soffermato non sui sulfurei e travolgenti anni di formazione, ma sul "secondo tempo" dell'esistenza di Turner: dal 1828 alla morte. La stagione del consensoe, poi, quella dell'emarginazione. Per ricostruire questa avventura, si è affidato a una struttura  narrativa elllittica, procedendo per situazioni ed episodi esemplari. Tale scelta dà al film una sintassi frammentaria, capace però di svelare, per tratti essenziali, il carattere affettivo e poetico dell'artista.

Sullo sfondo, alcune vicende familiari: il rapporto con la prima moglie e con le figlie; il confronto altero ma affettuoso con il padre; la frequentazione maschilista con la governante; l'amore senile. In primo piano - è quel che accade  raramente nei film sulle vite degli artisti - l'arte: il difficile dialogo con il sistema e con le istituzioni e la sfida per inventare una grammatica "diversa".

Da un lato, il sostegno del mecenate  lord Egremont; gli scontri alla Royal Academy; gli sberleffi ai danni di Constable; le conversazioni con il colto e arrogante Ruskin; la conoscenza dei miti antichi; l'ammirazione per l'arte di Lorrain; la scoperta degli esperimenti scientifici di Mary Sommerville. Dall'altro lato, l'ossessione della pittura in sé.

Proprio intorno a questo tarlo ruota il film di Leigh, che, senza mai indulgere in soluzioni retoriche, è riuscito a cogliere con finezza il senso intimo della ricerca di Turner. Il quale - ed è qui la sua starordinaria modernità - non si limita a mettere in scena qualcosa, ma è attento soprattutto al "come" rappresentarla. Predilige quasi sempre gli stessi temi: maree, naufragi. Perchè, in sintonia con l'estetica romantica, è affascinato dalla potenza della natura: un'immensità al cospetto della quale l'uomo è appena un frammento.

Nei suoi quadri, egli non "salta" il vero: lo coglie in istanti di assenza. Esita su tessere di mondo in cui la realtà si offre con un notevole grado di monotonia.  E giunge a un passo dall'indifferenza assoluta bruciando residui di stupore, barlumi di incanto. Non ferma quello che vede. Con un contro-movimento, conduce in uno spazio senza gerarchie, fino ad attuare  un processo di dispersione  delle immagini. Si esibisce in acrobazie che cancellano ogni immediata riconoscibilità. Sembra comportarsi come José Enrique Tafas, il pittore inventato da Borges e da Bioy Casares, il quale, dopo lunghe peripezie, si avvicina ai territori dell'astrazione. Egli sa che "rompere i vecchi stampi è la parola d'ordine dei secoli presenti". Dapprima, riproduce fedelmente alcuni scorci di Buenos Aires. Poi, li cancella con molliche di pane e acqua e con strati di catrame.

Turner somiglia un po' a Tafas, come suggeriscono alcune sequenze. In una, contamina un paesaggio "pulito" con pennellate rabbiose, fino a renderlo informe; in un'altra, in una marea di stampo "accademico", colloca una boa rossa (impressa con una rapida ditata); in un'altra ancora, si vanta di sporcare ogni icona ben fatta con uova e saliva.

Dipingere? Per lui, è una strategia per catturare la luce: enlightment è il termine di cui ci si è serviti per afferrare il significato della sua arte. La luminosità è la materia delle sue opere, nelle quali tende a dissolvere ogni geometria. Liquefa le regole prospettiche con un "colore ambiguo". Offre ricognizioni emozionali, per esprimere gli aspetti più drammatici e sublimi della natura. Confonde i punti di fuga. Dà centralità allo spazio, che si impone come atmosfera avvolgente e come estensione infinita. Le cose si sciolgono, e naufragano in grumosi vortici d'aria.

"La luce è Dio", è l'ultima frase che ha pronunciato Turner. Che qui viene ritratto come una sorta di padre delle avanguardie primonovecentesche. Sedotto da quelli che i futuristi chiamerranno "i frutti del nostro tempo industriale": ammaliato  (ma anche inquietato) dalla fotografia; stregato dal Crystal Palace di Londra, "una cattedrale di vetro"; incuriosito - come emerge da Pioggia, vapore  e velocità del 1844 - dai treni  che corrono sui binari, prodigioso misto di tecnologia e di ingegno.

Questo temperamento avanguardistico non verrà compreso dai contemporanei di Turner, che lo irrideranno: in un momento del film, assistiamo a uno spettacolo teatrale dove alcuni attori sbeffeggiano i suoi quadri magmatici. Queste derisioni feriscono Turner, che sceglierà di isolarsi sempre di più dal contesto culturale e sociale londinese. Spesso Leigh ce lo mostra solitario, orgoglioso, testardo, misantropo. Fuori dall'Ottocento. Già proiettato verso il secolo nuovo.

E' la solitudine cui allude l'opera più epica di Turner, Fighting Temeraire (del 1838). In filigrana, il ricordo di un'episodio di cronaca: l'ultimo viaggio verso la demolizione  del Fighting Temeraire, un gigantesco vascello. Siamo al termine delle guerre napoleoniche. In una scena del film, Turner si reca acontemplare quella nave - spogliata di tutto -  mentre viene trainata da un rimorchi fumante. Quel senso di nobile sconfitta viene evocato nel suo quadro. Un tramonto striato di lampi violacei, rappreso in nuvole tizianesche. Una distesa d'acqua ferma e calma. Lo scintillio del mare si ferma in un suono sordo, addirittura funebre. ciabordii sonnolenti. Si sente la voce della melanconia. E' la melanconia di un maestro che, ritraendo la Fighting Temeraire, ha rivelato se stesso. Ferito e austero, come un elefante morente.

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