Sartorio Giulio Aristide *

SARTORIO GIULIO ARISTIDE
Roma 1860 - 1932
Si accostò all’arte sotto la guida del padre, lo scultore Raffaele e frequentò in modo discontinuo l'Accademia di Belle Arti di Roma. Per qualche tempo si mantenne con una produzione di facile commercio, alla maniera dei fortunysti. Nel 1883 esordiva all'Esposizione Internazionale di Roma con un dipinto di soggetto sociale e d’intonazione verista, Malaria (Museo Regionale di Cordoba, Argentina). Nel frattempo aveva cominciato a frequentare i cenacoli letterari romani e aveva iniziato la collaborazione con la rivista Cronaca Bizantina (1882); nel 1886 partecipò con altri artisti all'edizione illustrata dell’lsaotta Guttadauro di G. D’Annunzio ed entrò a far parte del gruppo legato a N. Costa, “In Arte Libertas”. A Parigi, dove era stato già nel 1883, ritornò con F. P. Michetti nel 1889; durante il soggiorno francese fu attratto dalle opere della Scuola di Barbizon, riportando un nuovo interesse per la pittura en plein air, che praticò poi per tutta la vita, all’acquerello e a pastello. Nel 1893 portava a termine, per il conte G. Primoli, il trittico Le Vergini savie e le Vergini stolte (Roma, Galleria Comunale d’Arte Moderna), esito del rapporto maturo con l’estetica pre-raffaellita. Nello stesso anno soggiornò in Gran Bretagna, studiò i paesaggisti inglesi e approfondì la conoscenza dei Pre-raffaelliti; nel 1894 tenne con successo la sua prima mostra personale a Londra. Dal 1895 lavorò a nuovi temi, spostando la propria ricerca in direzione del Simbolismo francese e tedesco. Chiamato a insegnare alla Scuola d’Arte di Weimar (1896- 1899), durante questo periodo ampliò la conoscenza della cultura tedesca contemporanea e si dedicò agli studi dal vero. Al ritorno in Italia riportò compiuto il dittico Diana d'Efeso e gli schiavi e la Gorgone e gli eroi (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), che espose alla Biennale di Venezia del 1899. Il recupero dei riferimenti classici, della scultura in particolare, è visibile nel fregio monocromo del Lazio, eseguito per l'Esposizione di Milano del 1906, nel quale adottò una tecnica che sarà caratteristica della produzione di quegli anni (La luce, Le tenebre, L'amore e La morte, 1907, Venezia, Galleria d'Arte Moderna di Ca' Pesaro). Alternò poi la pittura di paesaggio alla produzione di grandi fregi e pannelli decorativi (fregio per l'aula del Parlamento nel Palazzo di Montecitorio, 1908-1912). Sempre impegnato come saggista e critico, dal 1905 accompagnò questa attività con la produzione di romanzi e poemi. Negli ultimi anni della sua vita si dedicò con impegno alla fotografia, alla grafica e al cinema (Il mistero di Galatea, 1918).
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