De Tivoli Serafino *

DE TIVOLI SERAFINO
Livorno 1826 - Firenze 1892
Trasferitosi a Firenze con la famiglia quando era ancora ragazzo, insieme al fratello Felice studiò pittura di paese con C. Markò senior. Nel 1848 partecipò alla prima guerra d’Indipendenza e nel 1849 combattè a Roma, dove conobbe N. Costa che influenzò il suo modo di dipingere aggiornandolo alle espressioni più attuali del paesaggio europeo. Nel 1850 espose alla Promotrice fiorentina paesaggi laziali e quadri con episodi della difesa della Repubblica Romana. Frequentò il Caffè Michelangiolo e vi introdusse artisti più giovani, come T. Signorini e O. Borrani. Nel 1854 insieme ai Markò, a suo fratello Felice, a S. Altamura, E. Donnini e L. Gelati fu animatore della cosiddetta Scuola di Staggia, con l'intento di rinnovare la pittura di paese avviandola a espressioni più ariose e luministiche. Fu il primo di questi artisti a presentare alla Promotrice fiorentina, nel 1855, una Veduta di Staggia. Quell'anno aveva visitato insieme ad Altamura l'Esposizione Universale di Parigi e colpito dalla pittura della Scuola di Barbizon ne fece entusiastici resoconti agli amici del Michelangiolo, tanto da spronarli a trovare una maniera del tutto nuova per trasporre il mondo della natura. Anche per questo fu chiamato «il padre della macchia». Nel frattempo partecipava con regolarità alle mostre italiane, presentando paesaggi con animali, influenzati dalla maniera di C. Troyon e di R. Bonheur. Nel 1864, dopo una polemica con Signorini, lasciò Firenze per Londra dove raggiunse il fratello e dove rimase fino al 1873 quando si trasferì a Parigi: qui frequentò essenzialmente i pittori italiani e solo nel 1880 partecipò a un Salon con A Bougival. I suoi dipinti assunsero caratteri evocativi e sentimentali e la pittura si fece più fluida e attenta alle notazioni atmosferiche. Nel 1889 partecipò all'Esposizione Universale con tre vedute parigine, ma l’anno dopo, assai provato e in miseria, tornò a Firenze dove riprese a frequentare i vecchi amici e a esporre vedute locali. A Milano nel 1891 inviò un'opera intitolata A Marly le roi. Morì in una casa di riposo ebraica, dopo un breve ricovero
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